L’AgCom ha annunciato che il sei luglio emanerà una delibera (anche se non sono riuscito a trovare traccia di questo nei comunicati stampa del sito istituzionale) che darà il via alla caccia al diritto d’autore on line.
Prima di criticare o solo commentare le azioni dell’Autorità garante per le comunicazioni vorrei aspettare questa delibera: sono curioso infatti di sapere tempi, modi e motivazioni che spingerebbero l’Autorità a chiudere un sito web solo attraverso una segnalazione di qualcuno per l’infrazione di copyright.
Solo che dalle prime informazioni che sono riuscito a leggere (ricordo: niente di ufficiale trapela da AgCom per ora se non qualche tweet) non ho capito bene come si possa difendere il diritto di autore in Rete (e come pensa di farlo l’AgCom) in una realtà dove la replicabilità (“replicability” per danah boyd) è una tra le proprietà intrinseche delle conversazioni nel web con la quale tutti abbiamo imparato a fare i conti.
Sì, perché ogni volta che inseriamo un contenuto nel web (è bene ricordarlo) questo in qualche modo può essere preso ed utilizzato, non ci sono licenze che tengano.
O meglio ci sarebbero licenze che regolamentano la diffusione dei prodotti culturali sul web. Ne parlò tempo addietro Lawrence Lessig introducendo le licenze CreativeCommons.
Del libro (una lettura che consiglio, anche se la versione italiana pecca in scorrevolezza) voglio solo raccontare un episodio trasversale a questa situazione.
Si parla infatti di una importantissima fiera del fumetto giapponese e, soprattutto, della sua “contro fiera”: infiniti stand con Manga tutti rigorosamente falsi. Sì, falsi, non originali, ma verosimili.
Su questo aneddoto è interessante la conclusione che ne fa Lessig parlando del vantaggio che la “vera” fiera trae grazie all’esistenza della “falsa” fiera: spesso succede che fumetti di culto siano conosciuti grazie ad un passaparola e uno scambio che parte proprio dalle bancarelle dei manga “taroccati”.
Una situazione che ricorda molto la vicenda di alcuni libri resi famosi dallo scambio di fotocopie tra giovanissimi o di film che hanno trovato il successo grazie ad una distribuzione non ufficiale. Chiamiamola così. Per non parlare del mercato musicale.
Insomma siamo proprio convinti che la caccia al diritto d’autore sia così indispensabile nell’era della replicability?
“ogni volta che inseriamo un contenuto nel web (è bene ricordarlo) questo in qualche modo può essere preso ed utilizzato, non ci sono licenze che tengano”. Non è proprio così. Ogni contenuto (un testo, un video, un’immagine) ha -almeno- un autore: quell’autore ne detiene il copyright. Poi che qualcun altro si arroghi il diritto di fare quel che vuole di quel materiale solo perché tecnicamente ne ha la possibiltà (sa riprodurlo, masterizzarlo ecc.), non significa affatto che sia nel giusto! Per questo sarebbe il caso che i produttori di contenuti (tu stesso) decidano cosa si può fare e cosa no con le proprie opere, ed il modo più semplice e flessibile di farlo sono le Creative Commons. E’ vero invece che la Rete certo non fa per chi vuole tenere esclusivamente per sé qualcosa, anche solo un’idea.
Ciao e grazie per il commento.
Il post voleva essere in qualche modo estremo. Cioè avvisare che nonostante le misure di prevenzione i contenuti nel web sono sempre una sfilza di 0 e 1 che possono essere replicati.
Per il resto mi trovi in sintonia: la Rete non è il posto per chi cerca la proprietà intellettuale esclusiva. La replicabilità la fa da padrona.
Non volevo “salire in cattedra”, ma la riduzione di tutto a serie di 1 e 0 (che io condivida l’idea o meno) in qualche modo mi sembrava “legittimare” una replicabilità generale che, stante le leggi attuali, non è perfettamente legale (leggici “pirateria”) 🙂
No no, sali pure in cattedra 🙂
Volevo portare il ragionamento anche in questi termini: qual è il senso del copyright su internet? Valgono, hanno in qualche modo senso, le regole consolidate off line, se poi si arriva facilmente alla pirateria? E perché non si crede in fondo alle forme di tutela delle opere come le CC (penso anche agli enti pubblici)?
Discorso a parte poi meriterebbe la protezione dei dati personali e la necessità di garantire l’originalità delle comunicazioni (firma digitale, posta elettronica certificata).
Su questo non sono tecnicamente preparato e non saprei, ma il problema c’è e con il post sopra volevo evidenziare una (grave) mancanza normativa.