- Medium è stata fondata nel 2012
- Evan Williams è il fondatore: già cofondatore di Twitter e Blogger
- The New York Times (1.6M di ricavato nel 2014) e Axel Springer (3M di ricavato annuo) sono tra gli azionisti
- Ha una valutazione di 600m di dollari
- Licenzia 50 persone
La notizia è del 4 gennaio quando il fondatore della famosa piattaforma di blog ha annunciato che licenzierà un terzo degli impiegati, chiudendo le sedi di New York e Washington D.C.. Ha anche detto che da adesso si concentreranno nello studiare un nuovo sistema per monetizzare tutto il lavoro di chi scrive all’interno di Medium, valorizzando i contenuti e dando meno valore al circolo vizioso che vede le prestazioni della pubblicità (click su banner) completamente distaccate dai contenuti e (aggiungo) dalla responsabilità di chi scrive e ospita spazi pubblicitari. Dove quindi qualità e accuratezza possono andare in secondo piano.
Per cominciare bisogna anche dire che Williams non ha licenziato un terzo della forza lavoro di Medium (solo) perché si è improvvisamente accorto che il sistema deve cambiare e quindi provvederà lui a “disrupt“, smantellare, l’industria dell’editoria; ma forse anche perché la raccolta pubblicitaria della sua piattaforma ha subito un duro colpo (come Twitter del resto) dal duopolio Google-Facebook.
Ad oggi è ancora mistero sul business model di Medium. Probabilmente il futuro sarà fatto di micropagamenti (cioè gli utenti pagheranno poco, ma molto, ricalcando la strategia di mercato della “Coda lunga”), ma la sensazione è che, come scrive Leonid Bershidsky su Bloomberg, Medium non abbia idea di come proseguire la sua avventura con l’aggravante di aver esordito nel settore dell’editoria con la strafottenza di risolvere il problema alla faccia dei diversi attori presenti da anni, in difficoltà sullo stesso tema: monetizzare l’informazione.
Altra opzione, già suggerita a Airbnb, potrebbe essere quella dell’abbonamento.
Williams ha fatto tutto da solo, senza cioè anticipare niente agli editori che già usano la sua piattaforma. Sono diversi infatti a riversare lì i loro contenuti. Tanto che c’è chi aveva appena portato tutte le sue risorse su Medium quando si è visto arrivare l’annuncio di Williams. Il che non è sicuramente di buon auspicio.
Adesso chi rimarrà e pubblicherà contenuti lo farà con alcuni servizi mancanti (come per esempio i contenuti sponsorizzati, agevolati da Medium all’interno della stessa piattaforma). Di conseguenza, seguendo quanto detto da Williams, praticamente gli editori abbandoneranno il sistema della pubblicità per abbracciare altre forme, come per esempio “native advertising”, ma saranno lasciati da soli.
Come fa notare Michael Macher, Associate Publisher di The Awl:
La lezione che ne impariamo è che non è facile scardinare un sistema e trovare la quadra di un modello di business dal niente. Oltre a conoscere l’ambiente bisogna lavorare sodo, forse quattro anni di (modesti) tentativi sono pochi.
Così, aspettando novità dallo stesso Williams in merito al futuro, Medium per ora rimane un esperimento (quasi) fallito. L’editoria evidentemente dovrà aspettare ancora un po’ per essere “disrupt”.