Diciamolo subito: il problema sono le notizie vere, non quelle false. Le prime devono essere più numerose delle seconde e confermare la visione che portano avanti. Questa in sintesi una soluzione possibile per evitare che le bufale abbiano la meglio.
Dopo diverse letture, dopo aver parlato di Fake News e Mondo Reale ho preso spunto da questo, interessantissimo, articolo di Vox (sempre sul pezzo, lettura consigliata!) che in alcune parti ho tradotto per ragionare nuovamente sulle cause dell’ascesa delle bufale e al contempo sulle soluzioni da adottare.
Cominciamo con sottolineare un aspetto importante. Le notizie false di per sé non vendono, non raccolgono consensi o indirizzi email, semmai consolidano un’idea (pre)costituita: chi condivide le notizie false veicolate da Trump, dai 5 Stelle, condivide già quell’idea. Altrimenti non sarebbe connesso con quelle fonti di informazione, né ci si avvicinerebbe. Non ci si approccia a queste identità grazie alle notizie false (o per colpa di queste), ma arriva a queste (fake news) perché vengono veicolate da quelle pagine Facebook. Notizie che poi vengono condivise con persone che la pensano alla stessa maniera, dentro la echo chamber, o la filter bubble degli individui che già erano in contatto con quelle fonti di informazione.
Adesso, per capire ancora meglio il fenomeno delle bufale, voglio evidenziare alcuni fenomeni che rappresentano delle criticità nello scenario delle Fake News e che sono legati alla distribuzione delle notizie online.
1) Le bufale generano visite, le visite generano profitti. I soldi vanno alle piattaforme che diffondono notizie false, da sistemi di terze parti rispetto al sito di notizie. Non c’è quindi un processo di vendita attraverso un accordo diretto tra editore e sponsor. Viene meno cioè un rapporto diciamo personale. Questo ovviamente svincola la piattaforma che dà introiti dall’aspetto etico (diffusione delle notizie false), qualitativo (qualità del prodotto editoriale) di quello che viene diffuso dal sito che sta sponsorizzando.
Il sito che diffonde bufale è solo quindi un accentratore di click, una grande macchina il cui unico obiettivo è fare visite; la pubblicità che si vede in questo tipo di siti infatti è basata sulla storia di navigazione del nostro browser che nulla ha a che vedere con i contenuti del sito che diffonde notizie, grazie ai cookies, permette alle terze parti (Google Adwords, ma non solo) di indovinare le nostre preferenze, le cose che ci piacciono di più, per proporci pubblicità che saremo più propensi a cliccare; se lo faremo l’inserzionista pagherà l’intermediario pubblicitario (AdWords per esempio) che pagherà il sito che ospita il banner. Un motivo in più per riflettere su un sistema complesso che deresponsabilizza di fatto l’inserzionista, permette a chiunque di generare profitti, mettendo da parte il fattore qualitativo (basta che faccio visite e vengo pagato).
2) Un altro fattore importante da sottolineare: l’agenda setting. Adesso, più di prima, vediamo una competizione sfrenata tra i diversi media per coprire le notizie, soprattutto i media mainstream. Cercare quindi di differenziarsi diventa sempre più difficile in uno scenario fatto di: basse barriere all’ingresso, alta frammentazione delle testate online, mancanza (quasi totale in Italia) di editori puri che abbiano idee chiare sul come fare introiti o che sperimentino nuovi modelli per trovare una soluzione alla loro crisi (perenne ormai). [Su questo vedi il modello Buzzfeed].
In questo scenario la bufala, per certe testate ovviamente, si trasforma in oro: diventa infatti un facile scoop da dare in pasto ai lettori. D’altronde se inventi una storia è chiaro che ce l’hai solo tu!
Le scelte che fanno i media sono quindi ancora più importanti: sono queste infatti che ci aiutano a capire, a interpretare la realtà e magari ci aiutano a elaborare un’idea su determinati temi.
Dire quindi che le bufale abbiano fatto vincere Trump o che abbiano influenzato il voto durante il referendum non è corretto è un’esagerazione e una semplificazione che fa gioco a chi non vuole (o non riesce) capire le complicate dinamiche di voto o di come si formino le idee le persone.