A bto2010 si è parlato della comunicazione delle destinazioni turistiche, definita in una parola: miope. Lo studio portato da Roberta Milano ha
[…]provato a sottolineare l’importanza di messaggi non stereotipati e di una strategia marketing a monte che valorizzi i propri punti di forza.
Già, una strategia (il grassetto nella citazione sopra è mio). Assente per la maggior parte delle istituzioni coinvolte nella promozione di un territorio. Eppure è la stessa che viene richiesta per le normali attività di comunicazione di una Pubblica Amministrazione (ricordo lo strumento del piano di comunicazione del quale si parla a partire dalla legge 150 del 2000 in poi).
Se ne è parlato molto nella prima edizione dei seminari Computec. Comunicazione interna, comunicazione esterna, obiettivi, target, analisi dello scenario, posizionamento, swot analysis e tutti gli altri strumenti all’interno di un piano di comunicazione che serve, anzi
obbliga a mettere a fuoco/far emergere […] la strategia complessiva e si inquadra in un contesto organico e coerente in cui si deve riflettere anche la “coroporate identity” dell’istituzione
ci dice Leda Guidi all’interno del suo saggio pubblicato nel primo volume del progetto Computec. A dimostrazione che esistono da tempo strumenti che aiutano la Pubblica Amministrazione a svilupparla questa tanto ricercata strategia e a veicolare la loro altrettanto ricercata identità (nel caso citato da Ghnet).
Avere una strategia, pianificare significa mettersi a tavolino e capire, tra le altre cose, quali sono i punti di forza e quelli di debolezza dell’organizzazione. Di primo acchito vedo già tutti rispondere “tanti” e “inattaccabili” (per i punti di forza) e “pochi” e “trascurabili” (per i punti di debolezza).
Improvvisando allora diventa normale aspettarsi una promozione affidata al testimone, alla cartolina animata o alla presunzione di una diversità del territorio che, se c’è, non si vede. Finendo molto spesso per parlarsi addosso.
Certo con i social media ci si può avvicinare all’utente-cittadino, farsi una idea di come l’organizzazione è percepita e migliorare i servizi offerti (e magari anche l’immagine da veicolare) ma come si può se poi questi strumenti non vengono inseriti in una azione più ampia, dedicata alla comunicazione dell’ente e all’ascolto?
Tanto la comunicazione classica, quanto quella nuova forma di comunicare figlia dei media sociali, deve comunque far parte di un “communication mix” che
[…] definisce l’identità, rendendo esplicito il patto conversazionale che essa (la PA) vuole stabilire con i suoi stakeholder. […] non si deve trattare solo di azioni additive, che vedono i nuovi media andare ad arricchire – almeno sulla carta e nelle buone intenzioni – i mix degli enti pubblici.
Scrive Alessandro Lovari nel suo ultimo saggio: “Basta un post? Il ruolo dei media sociali nel rapporto tra amministrazioni pubbliche e cittadini“. Ci deve essere quindi una integrazione degli strumenti di comunicazione che solo attraverso una pianificazione e quindi anche una strategia si può far valere. Lo stesso Lovari fa notare come, a proposito di ascolto e media sociali:
Ascoltare di per sé rischia di essere un’attività sterile se non si prevede un action plan per intervenire su quello che si è raccolto e imparato dal field.
Insomma inutile avere pagine facebook (aperte magari perché “fa figo”) se poi non si ascoltano i suggerimenti o non si interagisce con l’utenza. Peggio ancora se si trattano i social media come uno qualunque dei “vecchi” strumenti di comunicazione, Lovari è chiaro:
Occorre che questi strumenti siano usati all’interno di una strategia integrata che ne valorizzi le peculiarità e i tratti distintivi. Non si può pensare di utilizzare una pagina su Facebook o un canale YouTube come una locandina, una newsletter o altri supporti informatici.
Ovviamente non finisce qui: di problemi ce ne sono (interoperabilità, servizi da offrire che mancano, compatibilità di documenti e formati) ma che in 10 anni (almeno) tra gli ammnistratori non si sia capita l’importanza dell’ascolto è davvero preoccupante.