L’utilizzo dei link e dei social media sono due fattori che connotano fortemente l’identità dei soggetti all’interno della Rete. Tendiamo a dare un link a chi consolida una nostra idea e siamo disponibili a confermare l’amicizia su Facebook (o a frequentare off line) a persone che la pensano come noi.
Essere connessi con persone con valori vicini a noi, avere poche voci “fuori dal coro” rispetto al nostro pensiero, riduce la nostra interpretazione delle cose in una realtà soggettiva, come la chiama Roberto Venturini su Apogeo on line, cioè in una visione del mondo costruita attraverso lo scambio di informazioni e interpretazioni di persone e fonti di informazione in generale che tendono a consolidare un’idea già costruita.
Processo che tra l’altro già facciamo quotidianamente nella vita off line (leggendo una determinata categoria di giornali; guardando una determinata selezione di canali televisivi) e che si amplifica, o meglio si ripete, attraverso i media sociali.
Succede così che la nostra cerchia di contatti su Facebook saranno tali perché la pensano come noi, o comunque non hanno un pensiero molto lontano dal nostro. Questo perché:
Tendiamo a scegliere delle fonti che ci dicano quello che ci vogliamo sentir dire: la tentazione di sentirci riconfermati nelle nostre idee e nei nostri valori, eliminando voci discordanti, è forte.
Tutto questo fa riflettere a proposito delle reti sociali più in generale, ma anche e soprattutto delle reti di relazione che si creano grazie ai media sociali. Come dire che non è solo google a renderci stupidi, atrofizzando il nostro cervello, ma lo fanno anche Facebook, Twitter e Friendfeed. O meglio: non ci rendono stupidi questi ultimi, ma limitano la nostra visione del mondo.
Un argomento questo trattato anche da Antonio Sofi tempo addietro nel quale si trovano diversi spunti a proposito della persistenza dell’homofilia all’interno degli ambienti on line. Una nota positiva del contributo di Sofi è la consapevolezza dell’esistenza di un controaltare: la serendipity che lui considera come l’antitesi (o anche l’antidoto) all’Homophily.
Dunque Google da una parte ci abitua a delegare compiti che altrimenti svolgerebbe il nostro cervello (quante volte avete googlato una parola per vedere come si scrive, solo per non sforzarvi di ricordare?), mentre i social media dall’altra ci imbrigliano in argomenti, informazioni e punti di vista che tendono sempre più a rafforzare gli stessi argomenti che già conosciamo, le informazioni e i punti di vista che consolidano i nostri valori o ideali. Difficilmente usciremo con qualcuno che la pensa in maniera opposta alla nostra, come difficilmente leggeremo o ascolteremo informazioni che contraddicono una nostra visione delle cose.
Questo se vogliamo può essere un piccolo tassello in più rispetto alla visione del lato oscuro dei social media esposta da Giuseppe Riva all’interno del blog di Doctor Brand, dove si parla, tra le altre cose, dell’identità fluida: come cioè la percezione della mia immagine sia variabile a seconda delle interazioni che mantengo all’interno di un social media.
Un commento negativo nei miei confronti può fornire ad alcuni membri della mia rete di amicizie una immagine distorta della mia persona.
Un motivo in più per prendere sul serio i social media.
Molto bella questa riflessione ivo. Proprio qualche ora fa, facendo del buon voyeurismo su fb tra le persone che non conosco personalmente, ho scoperto che due ragazze politicamente attive in ambito universitario su fronti assolutamente contrapposti in realtà sono due grandi amiche e mi ha lasciato positivamente colpito soprattutto in un ambiente come quello di firenze che è fin troppo teso. Purtroppo semplicemente vedendo quel che succede nella vita quotidiana ci accorgiamo che mantenere buoni rapporti con chi ha posizioni diverse dalla nostra resta un’operazione forzata, un “dover essere” che imponiamo a noi stessi ma che dentro non accettiamo pienamente. E’ facile, insomma, che alla prima grande divergenza una persona “ti scada”. Ed è anche per questo che ci si continua ad abbeverare dalle stesse fonti, dagli stessi blog, dalle stesse persone. Secondo me per fare un piccolo passo avanti bisognerebbe innanzitutto cambiare questa mentalità tipica della nostra società di dividere tutto in categorie (per es. i berlusconiani e gli antiberlusconiani), bisognerebbe poi incrementare una maggiore capacità di analisi critica come fanno i veri scienziati (tutto sommato anche noi potremmo esserlo nel nostro piccolo), infine, ed è questa la parte più difficile, dovremmo avere un mondo in cui non ci sia ogni giorno di mezzo potere e interessi (capita molto spesso che restare delle proprie convinzioni rifiutando il confronto sia funzionale ai propri interessi perfino alla semplice voglia di aver a tutti i costi ragione).
Ciao Anto e grazie per la riflessione che porti nel commento.
Hai ragione: le categorie sono una brutta bestia, come le etichette che attacchiamo alle persone di conseguenza. Ne parlo spesso con un mio caro amico di questo modo di fare e spesso concludiamo che è un’azione che preclude molta della nostra conoscenza dell'”altro”. Della serie “sì, ma lui è così quindi non ci parlo/non approfondisco più”.
Purtroppo però è anche vero che è difficile mantenere un rapporto duraturo con una persona che non la pensa come noi se non venendo a patti. Cioè accettando che l’amicizia abbia un vincolo, un limite rispetto ad argomenti da trattare o comportamenti da mantenere.
Questo succede nella vita di tutti i giorni e anche sui social media, anche se, rispetto a quanto detto nel post, devo dire che in parte i social media potrebbero aiutare ad instaurare rapporti un po’ più ideologicamente eterogenei; ma sono strumenti e in quanto tali dipendono da chi li utilizza.